Perché ho lasciato i social network


È un tantino lungo, lo so, ma credo sia doveroso dirla tutta.
A ogni modo, alla fine l’ho fatto.
Ci è voluto un po’ e ammetto che non è stato facile. È stato un processo di ritrovata o rinnovata consapevolezza non immediato e ha avuto bisogno di tappe intermedie.
Di sicuro un video come questo o un mio romanzo, in qualche modo, mi suggerivano a loro volta ciò che stava accadendo dentro di me, ma devo ammettere che di sicuro il confronto con studi e contributi altrui, ben più autorevoli sul tema o – come dire – più avanti nel percorso hanno dato la giusta e definitiva spinta.
Indi per cui, dopo un post d’addio preventivo di un paio di mesi prima, il 22 aprile del 2019 ho disattivato i miei profili e relative pagine sui vari social media a cui sono stato iscritto per anni, tra cui Facebook, Twitter e anche Instagram, a cui mi ero aggiunto solo da poco.

Ho conservato solo il canale Youtube poiché non l'ho mai considerato un social media come i suddetti e per vari motivi, uno tra tutti la maggiore libertà di controllo sui contenuti e sul modo di condividerli.
Veniamo al titolo: perché ho preso questa decisione?
Al momento in cui ho cominciato a maturare tale scelta, anni fa, di ragioni ce n’erano già a sufficienza per quanto mi riguarda, ma man mano che ho cominciato a rifletterci con maggior impegno e soprattutto a documentarmi ne ho trovate in quantità industriali. E ogni volta che ci ripenso ne scopro altre, al punto da assillarmi con un’ulteriore domanda: perché non l’ho fatto prima?
A ogni modo, basta preamboli, veniamo alla risposta, ovvero le risposte.
Si dà il caso che, per un fatto meramente anagrafico, ho avuto la fortuna o sfortuna di vivere in prima persona l’avvento del World Wide Web e di tutto ciò che di nuovo ha portato nella nostra società.
A scanso di equivoci, tengo a premettere che questa mia non è affatto una lezione o un mini saggio sul tema, bensì soltanto una accorata condivisione.
Nondimeno, sebbene negli ultimi venticinque anni – e parallelamente anche da più tempo – abbia speso le mie energie e concentrato ogni passione tra espressione artistica e lavoro nel sociale, qualora vi interessi sappiate che ho una laurea in informatica.
Perciò, anche per questo motivo ho reagito subito con fervente interesse di fronte al diffondersi di internet e delle sue potenzialità.
So di non essere una persona facile, ho i miei difetti e tra di essi c’è di sicuro la testardaggine e l’ostinazione nel voler fare le cose nel modo che preferisco.
Per tale ragione ho immediatamente interpretato la rete, ovvero la possibilità di connetterci tra noi in maniera orizzontale e non imprescindibilmente per vie verticali, eliminando dallo schema del fare l’ingombrante peso del monopolizzante strumento di dominio e controllo di turno, come un’occasione irripetibile.
Chi mi conosce personalmente sa che non ho un buon rapporto con i compromessi, anche se spesso vanno fatti, a meno che non si decida di vivere da eremiti.
Ecco perché, una volta intuite le molteplici possibilità del nuovo modo di entrare in contatto tra di noi, mi ci sono gettato con tutto me stesso.
Perché mi ha risolto un problema enorme e non sono affatto certo che avrei percorso la strada che ho poi perseguito se non ci fosse stato internet.
Come dicevo quasi trent’anni fa, sono solo uno che

Alessandro Ghebreigziabiher
scrive. Ma, al contempo, anche a causa di un’infanzia e un’adolescenza diciamo complicate, da allora non voglio perché non posso, e viceversa, accettare come normali vergognose modalità di interagire tra noi soltanto perché lo fanno tutti.
Per farla breve, non credo sia moralmente e artisticamente accettabile il fatto che per pubblicare con una cosiddetta major dell’editoria o per accedere a un teatro di prima fascia - come mi è stato consigliato varie volte nel tempo – si debba necessariamente conoscere qualcuno di particolarmente influente, se non il committente stesso, ovvero ottenere un passaggio televisivo.
Per suddetta ragione, conoscendomi, nelle vesti dell’allora giovanissimo aspirante autore e teatrante non prefiguravo affatto un orizzonte gratificante, ecco.
Ma poi è arrivato internet e molto o tutto è cambiato.
Grazie al web sono potuto entrare in contatto con tanti straordinari compagni di viaggio ed è anche per merito del loro aiuto se nel tempo ho visto le mie parole pubblicate e diffuse, ascoltate e mescolate a quelle altrui. Naturalmente so bene di non essere in cima alle classifiche di popolarità e spero di aver chiarito di che tipo di condivisione sto parlando.
Il tutto riuscendo a conservare più o meno intatta una buona dose di coerenza con i miei principi.
Il motivo è semplice, a mio modesto parere. Da che mondo è mondo la corruzione dei propri ideali passa spesso attraverso l’interferenza che piove dall’alto per mano del potente di turno, il quale viene a insignirti della fregiante consacrazione, donandoti il suo prezioso aiuto.
Certo, tutti abbiamo bisogno del sostegno del prossimo, e qualora provenga da chi può fare per te qualcosa che tu non sei in grado di fare è anche una benedizione. Quello che trovo inadatto al sottoscritto è ritenere la ricerca di questo tipo di spinta il vero obiettivo, invece di sudare davanti alla pagina bianca o sulle tavole del palcoscenico.
Ci tengo a sottolinearlo con questa mia personale esperienza: rispetto al passato, tra le altre cose, internet è uno strumento fenomenale per farsi società attiva e realizzare le singole e le collettive aspirazioni. Il tutto senza dover cedere qualità e valori fondamentali delle proprie intenzioni iniziali al mass media di turno.
Tuttavia, come tanti, anch’io sono caduto, malgrado parzialmente, in uno dei più clamorosi inganni del terzo millennio: credere che i social network siano internet o che funzionino più o meno allo stesso modo.
Ebbene, all’indomani della mia definitiva uscita dal tunnel, sono qui ad affermare senza tema di smentita che Facebook e tutti gli altri non sono altro che delle appiccicose e pericolose ragnatele.
Come queste, assomigliano a una rete, eppure sono ben altro.
Che siate anche voi scrittori, attori, o artisti di ogni tipo, professionisti di qualsiasi campo, ma anche soltanto persone che li usano come passatempo o gioco, prima ancora di tirare in ballo i danni che sono in grado di fare alla nostra mente e alla nostra vita, vorrei rimarcare ciò che non sono, ma che è proprio ciò che promettono.
Porto il mio lavoro come esempio, così dico qualcosa di più concreto. Per tutto il tempo che li ho utilizzati – e stiamo parlando di anni - il riscontro rispetto alla diffusione dei miei racconti, alla vendita dei libri, all’affluenza agli spettacoli e alle chance di avere contatti favorevoli dal punto di vista artistico o lavorativo è prossimo allo zero.
Al netto di quantità notevoli di like e condivisioni, cuoricini e seppur estasiati commenti di due righe o poco più, l’esito nel tanto bistrattato mondo reale è stato pressoché nullo.
Al contempo non avrò più indietro le ore sprecate e alcuna compensazione per la continua distrazione dal mio vero lavoro, nonché la disastrosa frammentazione della mia concentrazione a causa del maledetto cicalino sullo smartphone o la notifica sullo schermo del PC.
Non ho ottenuto mai, ripeto, mai un solo contatto su un qualsivoglia social network che mi abbia in seguito portato a realizzare qualcosa di concreto fuori da esso.
Diciamola tutta. Malgrado la terminologia quanto mai abusata, grazie ai social media non ho nuovi amici accanto. Intendo veri e propri, capaci di starmi vicino quando ne ho davvero bisogno, per dirne una tra le più banali.
Tra i miei testi che maggiormente hanno ottenuto riconoscimenti autorevoli, e che ancora oggi dimostrano di aver superato la prova del tempo, la maggior parte di essi sono stati quasi del tutto ignorati una volta apparsi sui social.
Inoltre, non sapete quante volte mi sono ritrovato a verificare che la persona che aveva digitalmente apprezzato e condiviso il mio contributo non l’avesse affatto letto o visto.
Anche se il mio allontanamento era cominciato gradualmente da ben più tempo, da circa febbraio ad aprile del 2019 ho diminuito quasi del tutto la mia presenza sui social.
Ebbene, seppure mi limitassi a considerare solo quei primi due mesi, non avete idea di quanto il mio lavoro ne ha guadagnato, sia dal punto di vista della quantità di tempo che soprattutto della qualità.
In passato, parlando con amici della mia radicale decisione, lasciando alcuni esterrefatti o addirittura turbati, ovviamente uno di loro mi ha fatto la fatidica domanda: ma come fai con i libri e gli spettacoli? Non ti servono i social per promuoverli?
A parte ciò che ho già detto poc’anzi a riprova dello scarso apporto di questi ultimi all’effettiva diffusione del proprio lavoro, c’è un altro aspetto che ritengo fondamentale di cui vorrei parlarvi.
Per quanto mi riguarda ho degli ideali a cui tengo, come del resto hanno in tanti, e spesso e volentieri si fondono con ciò che scrivo e porto in scena.
Non sono perfetto e più che mai non sono un santo, tutt’altro. Spesso mi struggo per ciò che non faccio o che faccio in modo sbagliato.
Ciò nonostante, tra le cose che ho a cuore ci sono di sicuro il rispetto dei diritti umani, l’attenzione per gli ultimi del mondo e il ritenere il valore della persona umana l’elemento centrale e imprescindibile, nonché prioritario rispetto a ogni considerazione.
Credo fermamente che la pace e la democrazia siano cose per cui lottare ogni giorno, in ogni istante, mai definitivamente acquisite, ma il risultato di un agire perenne.
Sono persuaso, infine, che la rete sia soprattutto un’occasione per dare voce e sostegno alle creature più svantaggiate e oppresse del pianeta, contrastando le narrazioni maggiormente manipolate e anestetizzanti.
Ebbene, la domanda che mi sono posto più volte in questi anni e che vi giro è la seguente: come è possibile essere coerenti con tutto questo e contemporaneamente cedere la propria identità a soggetti ambigui, tra multinazionali senza scrupoli, organizzazioni criminali e inquietanti istituzioni governative, illudendosi di riuscire comunque a lavorare per una società differente?
Perché questo sono la maggior parte dei social network: uno strumento nelle mani dei loro finanziatori, giammai di noi altri. Mi riferisco a quelli che pagano e anche tanto per mandare in scena questo spettacolo dell'amicizia virtuale; per tale ragione i social sono gratuiti. Noi siamo solo la merce. Col tempo, con l'enorme quantità di denaro degli investitori, i proprietari di questi mega siti hanno costruito un viaggio allucinatorio che ci rende prigionieri in una sorta di tela di ragno, come ho detto poc’anzi, nella quale ci si convince di andare chissà dove e di fare chissà cosa, mentre non si è altro che cibo per i rapaci tessitori del marketing; nonché ignari prodotti per i compratori e i venditori dei nostri dati più personali.
In cambio, costoro hanno reso più vulnerabili e fragili le nostre speranze.
Ci hanno allontanato l’uno dall’altro, invece che avvicinarci.
Hanno aumentato la nostra ansia e il tasso di stress.
Ci hanno fatto diventare più deboli come individui e come gruppi.
Ci stanno manipolando e sfruttando.
Ci stanno drogando, in ultima analisi, immobilizzandoci tra il nano delle nostre paure e il gigante dei nostri sogni (questa non è mia, ma di una fantastica filosofia che vi invito a cercare in rete.)
Chi era una star comprovata dal bollino ministeriale fuori del social, continua a esserlo grazie ai fan adoranti, e chi aspiri al meraviglioso firmamento si illude di avvicinarlo grazie all’ottenimento o anche l’acquisto di migliaia di followers.
Mi sembra tutto ciò che mi sento di scrivere, in questo momento.
Se ci trovassimo nel film Matrix e fossi Morpheus adesso vi consiglierei vivamente di prendere tutti la pillola rossa.
Per fortuna, credetemi, per la fortuna di tutti non siamo in un film e per quanto mi riguarda neppure in un social network.
Siamo su internet, certo, e come disse un mio ex professore all’università la rete siamo noi.
E noi, a mio modesto parere, siamo infinitamente migliori di una foto ritoccata e di qualche post virale.

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